
ShivaNarquois - Diario reale e trascendentale.
Torino, venerdì 28 aprile 2006.
Era pomeriggio. Passeggiavo per Via Po, proprio sotto i portici sabaudi, trastullandomi con la mia bella cravattina rossa presa in prestito dall’Ichnuso .
Il mio sguardo scivolava da una vetrina all’altra, mentre gli studenti schizzavano qua e là: come biglie impazzite, toccavano le entrate delle pizzerie e poi…via! rimbalzavano sull’edicola all’angolo, sempre in cerca di qualche sigaretta da scroccare o di un trancio di margherita da morsicare e poi buttare.
Passeggiavo. E mentre gongolavo nella vuota compiacenza di me lo sguardo mi cadde su una fanciulla.
A dirla tutta, la prima cosa su cui si posarono i miei occhi non fu esattamente la fanciulla. Fu un paio di seni bianchi, cinti da una magliettina verde. Quei seni mi ricordarono per un attimo due bocce di marmo virginale, ed ovviamente appartenevano alla ragazza.
Non appena ci siamo trovati faccia a faccia i nostri occhi si sono toccati nell’istante, velocemente, e poi hanno continuato il loro percorso in sensi opposti. Al momento dello schianto le spiai il viso, mentre lei cercava audacemente le mie iridi, nascoste dietro i Ray Ban.
Saranno stati i miei orecchini a forma di cristo, o il mio aspetto da finto-rocker… Non so… Fatto sta che il suo sguardo non aveva la benché minima intenzione di scollarsi dal mio. Continuando a camminare ci siamo voltati, cercandoci ancora tra il fiume di umanità che scivolava per la strada.
Mi rigirai, tirai dritto. Sentivo dietro la schiena il peso delle sue pupille vogliose che reclamavano un’ultima occhiata.
Decisi di inseguirla.
Motivo? Mi sentivo desiderato. Per me quello rivestiva già un valido motivo, anche se di natura istintuale. “Sessuale”, ecco. Inoltre, ero spinto dalla ferma convinzione che qualsiasi ragazza - anche una incontrata di striscio in Via Po - avesse qualcosa da raccontarmi. La Bellezza, infatti, parla sempre, e da qualsiasi bocca. A me piace ascoltarla.
Con spirito pionieristico ho quindi attraversato la strada, tenendomi a poca distanza da lei… - Devo ammettere che a volte mi piace fare un po’ l’idiota e così, mentre le mie gambe correvano, idiotamente immaginavo già la scena. Da dietro lei aveva un andatura sgraziata, buffa. Ma nel complesso mi attraeva.
L’ho bloccata sul portone di Casasonica. Sorpresa sul suo viso. Poi si è tolta gli auricolari e ha iniziato a parlarmi:
- Ciao!…ma mi hai seguita?
- Sì, scusa, rispondo divertito. – Volevo sapere qual è il tuo nome.
Da dietro i Ray Ban, il mio sguardo avviluppava il suo corpo adagiato in un paio di jeans neri e nella già-notata magliettina verde prato.
Sorridendo, mi ha risposto inaspettatamente: – Sono contenta che tu mi abbia seguito! Comunque, io mi chiamo Giulia.
Colpo di scena! Dall’atteggiamento, la figliola sembrava seriamente essere interessata a me. La cosa mi coglieva alla sprovvista, più o meno come il proverbiale fulmine a ciel sereno.
Continuai la conversazione. Le chiesi se era della zona. Mi rispose che era lì in Piazza Vittorio per comprare un paio di scarpe per il suo compleanno. Oggi, infatti, era il suo compleanno.
Pochi secondi dopo ho avvertito una sensazione di nausea. Quanto era sgradevole! Cercavo di ignorarne il motivo ma lo stomaco, intanto, mi si chiudeva in un fazzoletto.
Parlavamo di libellule e di non-ricordo-cosa. Io le guardavo il trucco nero sotto agli occhi e snocciolavo parole in assoluta libertà, senza la minima ombra di pudore.
- Non ti chiedo il numero di telefono, le dissi. – L’ho sempre trovata una strategia un po’ subdola, sentenziai dall’alto della mia genuina stupidità. – Chissà poi cosa cazzo pensa la gente quando le chiedi il numero…
Lei, allora, vestita da fulmine mi ha bacchettato per la seconda volta: - Ma no, no, chiedimelo pure. Anzi… dammi il tuo!
Nausea! NAUSEA!!
Cos’era??
Sentii con un certo disagio che gli opposti si erano rovesciati, ed ora la gnocca non era più “lei”, ma in un certo senso “io”… Adesso era lei a stringere il manico del coltello, mentre a me era rimasta solo la lama. In un baleno mi ritornò il crampo nello stomaco, questa volta un po’ più forte. E subito le sue labbra rosse avvizzirono in rami appassiti, ed i suoi denti mi pretendevano.
Mi pentii così del mio essere stato ardito. – Sai, le dissi, accompagnando il discorso verso la fine: - non credo nei telefoni. Magari ci incontriamo in giro. Non amo forzare la casualità… preferisco affidarmi alle coincidenze…
Lei, alle mie (infelici) parole si è illuminata! Le sue iridi castano-cenere brillavano ora di una luce selvatica. Lo sguardo del gatto. Felino. E vorace.
Nell’istante stesso in cui le lessi negli occhi il rovente desiderio di offrirsi a me lì, adesso o dopo o da soli o davanti a tutti, lei mi fece un po’ schifo. Io, invece, mi feci assolutamente schifo.
- Cazzo, devo proprio scappare. Devo andare a fare la spesa. Ci vediamo allora, conclusi con un filo di voce. – Ciao!, e la baciai sulle guance. Feci tre passi e poi mi ricordai di farle gli auguri: d’altronde oggi era il suo compleanno. I suoi occhi non si schiodavano e mentre calava il sipario avevo ancora in mente il suo invito. Che nausea! Non resistevo più, mi si chiudeva lo stomaco…
Giro l’angolo.
Il cellulare squilla. E’ il suo numero.
Mi avvicino al cassonetto e finalmente sbocco.
Torino, venerdì 28 aprile 2006.
Era pomeriggio. Passeggiavo per Via Po, proprio sotto i portici sabaudi, trastullandomi con la mia bella cravattina rossa presa in prestito dall’Ichnuso .
Il mio sguardo scivolava da una vetrina all’altra, mentre gli studenti schizzavano qua e là: come biglie impazzite, toccavano le entrate delle pizzerie e poi…via! rimbalzavano sull’edicola all’angolo, sempre in cerca di qualche sigaretta da scroccare o di un trancio di margherita da morsicare e poi buttare.
Passeggiavo. E mentre gongolavo nella vuota compiacenza di me lo sguardo mi cadde su una fanciulla.
A dirla tutta, la prima cosa su cui si posarono i miei occhi non fu esattamente la fanciulla. Fu un paio di seni bianchi, cinti da una magliettina verde. Quei seni mi ricordarono per un attimo due bocce di marmo virginale, ed ovviamente appartenevano alla ragazza.
Non appena ci siamo trovati faccia a faccia i nostri occhi si sono toccati nell’istante, velocemente, e poi hanno continuato il loro percorso in sensi opposti. Al momento dello schianto le spiai il viso, mentre lei cercava audacemente le mie iridi, nascoste dietro i Ray Ban.
Saranno stati i miei orecchini a forma di cristo, o il mio aspetto da finto-rocker… Non so… Fatto sta che il suo sguardo non aveva la benché minima intenzione di scollarsi dal mio. Continuando a camminare ci siamo voltati, cercandoci ancora tra il fiume di umanità che scivolava per la strada.
Mi rigirai, tirai dritto. Sentivo dietro la schiena il peso delle sue pupille vogliose che reclamavano un’ultima occhiata.
Decisi di inseguirla.
Motivo? Mi sentivo desiderato. Per me quello rivestiva già un valido motivo, anche se di natura istintuale. “Sessuale”, ecco. Inoltre, ero spinto dalla ferma convinzione che qualsiasi ragazza - anche una incontrata di striscio in Via Po - avesse qualcosa da raccontarmi. La Bellezza, infatti, parla sempre, e da qualsiasi bocca. A me piace ascoltarla.
Con spirito pionieristico ho quindi attraversato la strada, tenendomi a poca distanza da lei… - Devo ammettere che a volte mi piace fare un po’ l’idiota e così, mentre le mie gambe correvano, idiotamente immaginavo già la scena. Da dietro lei aveva un andatura sgraziata, buffa. Ma nel complesso mi attraeva.
L’ho bloccata sul portone di Casasonica. Sorpresa sul suo viso. Poi si è tolta gli auricolari e ha iniziato a parlarmi:
- Ciao!…ma mi hai seguita?
- Sì, scusa, rispondo divertito. – Volevo sapere qual è il tuo nome.
Da dietro i Ray Ban, il mio sguardo avviluppava il suo corpo adagiato in un paio di jeans neri e nella già-notata magliettina verde prato.
Sorridendo, mi ha risposto inaspettatamente: – Sono contenta che tu mi abbia seguito! Comunque, io mi chiamo Giulia.
Colpo di scena! Dall’atteggiamento, la figliola sembrava seriamente essere interessata a me. La cosa mi coglieva alla sprovvista, più o meno come il proverbiale fulmine a ciel sereno.
Continuai la conversazione. Le chiesi se era della zona. Mi rispose che era lì in Piazza Vittorio per comprare un paio di scarpe per il suo compleanno. Oggi, infatti, era il suo compleanno.
Pochi secondi dopo ho avvertito una sensazione di nausea. Quanto era sgradevole! Cercavo di ignorarne il motivo ma lo stomaco, intanto, mi si chiudeva in un fazzoletto.
Parlavamo di libellule e di non-ricordo-cosa. Io le guardavo il trucco nero sotto agli occhi e snocciolavo parole in assoluta libertà, senza la minima ombra di pudore.
- Non ti chiedo il numero di telefono, le dissi. – L’ho sempre trovata una strategia un po’ subdola, sentenziai dall’alto della mia genuina stupidità. – Chissà poi cosa cazzo pensa la gente quando le chiedi il numero…
Lei, allora, vestita da fulmine mi ha bacchettato per la seconda volta: - Ma no, no, chiedimelo pure. Anzi… dammi il tuo!
Nausea! NAUSEA!!
Cos’era??
Sentii con un certo disagio che gli opposti si erano rovesciati, ed ora la gnocca non era più “lei”, ma in un certo senso “io”… Adesso era lei a stringere il manico del coltello, mentre a me era rimasta solo la lama. In un baleno mi ritornò il crampo nello stomaco, questa volta un po’ più forte. E subito le sue labbra rosse avvizzirono in rami appassiti, ed i suoi denti mi pretendevano.
Mi pentii così del mio essere stato ardito. – Sai, le dissi, accompagnando il discorso verso la fine: - non credo nei telefoni. Magari ci incontriamo in giro. Non amo forzare la casualità… preferisco affidarmi alle coincidenze…
Lei, alle mie (infelici) parole si è illuminata! Le sue iridi castano-cenere brillavano ora di una luce selvatica. Lo sguardo del gatto. Felino. E vorace.
Nell’istante stesso in cui le lessi negli occhi il rovente desiderio di offrirsi a me lì, adesso o dopo o da soli o davanti a tutti, lei mi fece un po’ schifo. Io, invece, mi feci assolutamente schifo.
- Cazzo, devo proprio scappare. Devo andare a fare la spesa. Ci vediamo allora, conclusi con un filo di voce. – Ciao!, e la baciai sulle guance. Feci tre passi e poi mi ricordai di farle gli auguri: d’altronde oggi era il suo compleanno. I suoi occhi non si schiodavano e mentre calava il sipario avevo ancora in mente il suo invito. Che nausea! Non resistevo più, mi si chiudeva lo stomaco…
Giro l’angolo.
Il cellulare squilla. E’ il suo numero.
Mi avvicino al cassonetto e finalmente sbocco.
1 commento:
hola picho, q tal te lo llevas. bueno bueno, a cuando vas subiendo nuevas obras en la red. aqui entro casi todos los dias a ver si pusiste algo nuevo pero nada de nada. hasta entonces seguiré atendiendo nuevas tuyas. nada voludo. cuidate niñate.
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