Acquario Stardust

Acquario Stardust
Il nuovo progetto musicale di Shiva Narquois

Madriz, 15 febrero 2007

Violavanita’

La mia magrezza e’ una cosa che spesso mi fa incazzare.
Oddio.. forse esagero.. in un mondo in cui l’ideale estetico e’ il magrofinoallosso dovrei ritenermi fortunato. Fossi nato ai tempi di Botticelli e di Michelangelo probabilmente non mi si sarebbe filato nessuna.. sarei morto vergine?

No, dai.. tutto sommato l’essere cosi’ minuto non mi fa propriamente imbestialire. E’ piu’ che altro un fastidio generalizzato verso tutte quella situazioni in cui servirebbe una massa corporea piu’ adeguata, piu’ genuina. Tipo: pestare un bullo, per esempio, e’ una situazione che necessita di un’adeguata massa corporea. Come il trasportare sacchi di cemento da 20 chili in cantiere; o ancora, il sopravvivere al delirio di calci e gomitate sotto il palco di un concerto.
Ma perfino gesti piu’ semplici, piu’ quotidiani, come vestire dei pantaloni larghi necessitano di una buona massa corporea. Io a volte me lo dimentico, non ci penso.

Ieri indossavo i pantaloni larghi comprati qualche anno fa da Frav, il negozio finto-squotteruso che veste i figli finto-squotterusi della ricca borghesia torinese.
Le mie anche, fini e definite, non opponevano alcuna resistenza alla vita del jeans che mi scivolava dal bacino sulle gambe, come se fosse desideroso di raggiungere al piu’ presto le caviglie per lasciarmi sguarnito, solo con i miei peli e le mie quattro ossicina bene in vista.

Mentre camminavo per Fuencarral sentivo una certa frescura nelle parti basse. Uno sguardo, e mi accorsi subito che meta’ delle mie chiappe sciupate era esposta alla vista dei passanti. Tuttavia, avendo le mani impegnate a rullare una siga di drum, non ho potuto sistemarmi i pantaloni all’istante. Ho continuato a camminare per qualche minuto in questo modo -rischiando cioe’ di restare nudo- cercando di fare passi piu’ lunghi possibili, in modo da mantenere un certo attrito tra la stoffa del jeans e la pelle delle mie gambe (proprio l’opposto di come quando da piccolo ti caghi addosso, e cerchi di stringere il piu’ possibile le gambe per non sentire lo spiacevole tepore della merda colarti giu’ dalle mutande).

***

Finisco di rullare la sigarella. Quando finalmente la accendo, mi tiro su i jeans che nel frattempo mi sono arrivati alle ginocchia.
Non faccio in tempo ad assicurarmi che nessuno abbia visto le mie natiche che mi passa affianco una donna carina, sui 30 anni, che mi sorride e mi dice in spagnolo: “Oh, chico! Perche’ ti tiri su i pantaloni? Cosi’ sei bellissimo!”

***

Io non arrossisco mai, ma in quel momento sono diventato tutto viola. Sono solamente riuscito a balbettare qualcosa tipo “Gra...gracias”.
La donna si e’ accorta che ero senza parole e mi ha sorriso divertita, di rimando, e ha continuato a camminare. Io ho sfumacchiato la sigarella macchiando il filtro di viola, accorgendomi che la tipa di tanto in tanto si girava per darmi un’occhiata.

***

Come dicevo, ho assunto un colore viola.
In realta’ non c’erano specchi per la strada, ma sono sicurissimo che in quel momento ero assolutamente viola.
Questa cosa mi ha fatto riflettere un po’, ed e’ stata l’argomento principale di riflessione del personal che mi ha visto coinvolto la sera stessa.

***

Iniziai a pensare.
No, non ero diventato rosso. La vergogna e’ rossa, di un rosso acceso con una punta di rosa carne che sottolinea l’ingenuita’ e la naturalezza della reazione.
Per la strada non ho provato nemmeno vergogna; tantomeno imbarazzo. L’imbarazzo e’ di un colore piu’ fastidioso, un rosa/fuxia fosforescente, che ti acceca e t’indispone. Io non ero indisposto. L’imbarazzo ti fa desiderare di essere altrove; io li’ ero a mio agio.

Le sensazioni e le emozioni hanno tutte un colore. Verrebbe da dire che allora ci sono 7 emozioni, come i colori dell’arcobaleno. Cazzata. I colori sono infiniti, di numero infinito come le sensazioni. Possono emergere da soli, monocromatici, oppure mischiarsi tra loro. Alcuni si somigliano, di base: tuttavia sono differenti per intensita’, tonalita’, luminosita’.
Le sfumature li distinguono.

Ad esempio, la noia e la gioia sono sono entrambe di colore giallo... ma quanto differiscono! Mentre la prima e’ opaca, piu’ sull’ocra, la seconda e’ di un giallino abbagliante, chiaro chiaro, con una presenza considerevole di bianco limpido e spensierato.
Il dispiacere e’ azzurrognolo: una pozzanghera di lacrime interne che l’esofago trasporta fino allo stomaco.
La tristezza, invece, e’ tra il verdeacqua e il grigio... ha il colore del mare d’inverno, potente e solitario, di una bellezza epica che fa vibrare le corde dell’anima e l’inchiostro della penna.
E’ sicuramente uno dei miei colori preferiti.

***

Avete capito come funziona, no? L’allegria e’ arancione, la rabbia e’ una spirale di nero e rosso; la speranza puo’ essere di un verde acceso. La passione e’ rosso infuocato, il rimorso e’ grigio-cenere. La dolcezza e’ blunotte, l’angoscia d’ebano, l’odio bianco e nero... e via dicendo.

Giunto all’ultimo tiro di sigaretta magica, ripensando al colore del mio viso per la strada focalizzai d’impulso la tonalita’ giusta. Cioe’, sapevo gia’ che era un viola ma finora non ne avevo capito la tipologia.
Finalmente c’ero arrivato!

Il colore che mi aveva posseduto qualche ora prima era un viola acceso, che non aveva nulla a che fare con la melanzana o con le violette dei prati. Era un viola a pois, caldo e diluito con il porpora della malizia.

Era il Viola della Vanita’, insomma.

Liquido e denso, che si appiccica sulle pareti di carne, che mi riempie dentro e che mi pulsa sul viso.

Che mi possiede.

Che mi sorprende, sempre.

Viola.
Violavanita’.

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