La probabile copertina del nuovo libro illustrato che sto preparando con il mio caro cugino, Filippo Ferlazzo
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Volete sentire una bella storia?
Adesso, qui, in questo coffee shop mentre ascolto We Never change dei Coldplay vado indietro con gli anni…
E non riesco a dimenticarla. We never change, do we? Lei saprà che io la penso, che non scivola mai dalla mente, che mi è rimasta incollata dentro
Lei è Coldplay
E’ gli U2 di With or without you
E’ To Sheila sussurrata da Billie Corgan
E’ il banco di scuola delle medie rosicchiato e plastificato di verde, poco davanti al mio. E’ il mio compasso nella sua schiena, per strapparle un sorriso ed un urlo insolito, inusitato
E poi gli occhi blu più del mare. Che nella fotografia che mi spedì per lettera sembravano due pozzi aggraziati, profondi, e desiderosi di stillare essenze
Davvero alcune cose cambiano, altre non cambiano mai… mio saggio, nero Morpheus, quante ne sai
E così, qui, nel Dampkrin colorato di arancio, con i finestroni spioventi sull’angolo della strada, penso ad una bella storia.
Inizia con il mio messaggio, avvolto di rose, che per via telematica, attraverso l’aria, le porta un invito.
Ciao! Sai, mi sono sistemato qui in Amsterdam. Mi piace, è chiq. Aspetto di lavorare. Mi vieni a trovare?
E poi:
PS: giuro che non ti mangio! Sarà come a Venezia
No, meglio non glielo scrivo il post, troppo forte.
Ancora oggi Lei trascende la mia naturale capacità di capire tante cose dalle persone solo guardandone i gesti ed ascoltandone le parole. Lei è di burro, di una margarina particolare, che non si afferra, che non si possiede.
Almeno non io.
Meglio così, maggior legna che arde al fuoco del mio candido desiderare.
Ed in questa splendida fiaba, Lei risponde senza troppo tergiversare: Ma certo, perché no? Sono libera nel weekend, un salto lo faccio. Basta lavoro!:( e mi mette una delle emoticon un po’ dementi che tanto mi fanno ridere.
E poi Lei viene qui
E forse per una volta la stringo nella mia mano. Ci sarà tepore
La prima volta che sono caduto in mare, nel suo mare, ho sentito lieve freddo. E poi un barcaiolo, che portava la notizia:
Lei è inafferrabile. Un po’ come te.
Gocce di mercurio prive per natura di gravità alcuna.
E Lei, la mia metà acquosa, che viene in Amsterdam sotto non so quale psicofarmaco della tranquillità d’animo, e scende dall’aereo bella come non mai
Ancora tu.. ma non dovevamo vederci più? Ed ilare più di Battisti abbandono il mio corpo di poca carne e qualche ossa e divento spirito, pura radiosità. La trascino sopra le stelle sul tappeto persiano, a bere un the sopra le tegole del Grasshopper, tra la luce verde smeraldo ed il mormorio della Damrak. E lei è a suo agio – per la prima volta- con me, e non teme i silenzi. Li aspetta anzi, per chiedermi tante cose. Gli anni in Sicilia. Le pene del cuore. Le mie prospettive, e la passione per l’arte. Il mio amore per lei, che di tanto in tanto cambia i fiori ma sempre rigoglioso splende. E poi guardiamo i led verdeacqua riflessi nel fumo della sigaretta, mangiamo la torta di mele, e finiamo nella mia piccola casa sull’acqua.
E li.. lei cercherà fuori, oltre il vetro per trovare le parole. Come se fossero nascoste dietro le tende, al di là del delta... Le parole che non trova ma che dentro di sé già possiede.
Ed io la stringerò un attimo. Guarderò in basso e farò il mio solito sorriso sghembo, quello viola ed allungato che piace a mio cugino Filippo. Dopotutto, le parole non sempre servono.
Sogneremo di rubare le barche nel molo.
Magari per navigare fino a quella Londra che tanto le piace
Disegnerò un po’ di stelle su soffitto per rendere la mia stanza più accogliente
Aspetteremo che i muri vengano giù per sentire meglio i gabbiani cantare. Saluteremo il silenzio con buon augurio e la distanza ci sarà nemica.
L’odore del vento che dall’oceano trasporta le conchiglie fin qui ci chiuderà gli occhi, sul pianoforte di Mellon Collie…
Lei mi stringerà forte, proprio come Lei,
come se fosse l’Unica,
come una regina, come mia madre.
Come Maria Cristina Ricci abbraccia Vincent Gallo in quel buffo film.
My Dear Wonder Urban Girl… ancora tu? E ci scappa da ridere.
Una fiaba è una fiaba, e di solito ha un finale. La mia invece ha solo una fine, perché improvvisamente la fiammella onirica diventa luminosa ed implode, finchè mi restano tra i polpastrelli solo dei coriandoli di cenere neri più del carbone e bianchi come il latte.
Non credo Lei mi verrà a trovare.
So, la visione termina qui, sull’ ultimo accordo minore della canzone di Parachutes. Diventa inchiostro, e fluisce nel boccettino di china che domani andrò ad esplorare
Il soggetto?
Io e te, stretti come Vincent Gallo e Maria Cristina Ricci.
So noir, so sweet
Tanto lo so che non vieni.. si si
We never change, do we?
Adesso, qui, in questo coffee shop mentre ascolto We Never change dei Coldplay vado indietro con gli anni…
E non riesco a dimenticarla. We never change, do we? Lei saprà che io la penso, che non scivola mai dalla mente, che mi è rimasta incollata dentro
Lei è Coldplay
E’ gli U2 di With or without you
E’ To Sheila sussurrata da Billie Corgan
E’ il banco di scuola delle medie rosicchiato e plastificato di verde, poco davanti al mio. E’ il mio compasso nella sua schiena, per strapparle un sorriso ed un urlo insolito, inusitato
E poi gli occhi blu più del mare. Che nella fotografia che mi spedì per lettera sembravano due pozzi aggraziati, profondi, e desiderosi di stillare essenze
Davvero alcune cose cambiano, altre non cambiano mai… mio saggio, nero Morpheus, quante ne sai
E così, qui, nel Dampkrin colorato di arancio, con i finestroni spioventi sull’angolo della strada, penso ad una bella storia.
Inizia con il mio messaggio, avvolto di rose, che per via telematica, attraverso l’aria, le porta un invito.
Ciao! Sai, mi sono sistemato qui in Amsterdam. Mi piace, è chiq. Aspetto di lavorare. Mi vieni a trovare?
E poi:
PS: giuro che non ti mangio! Sarà come a Venezia
No, meglio non glielo scrivo il post, troppo forte.
Ancora oggi Lei trascende la mia naturale capacità di capire tante cose dalle persone solo guardandone i gesti ed ascoltandone le parole. Lei è di burro, di una margarina particolare, che non si afferra, che non si possiede.
Almeno non io.
Meglio così, maggior legna che arde al fuoco del mio candido desiderare.
Ed in questa splendida fiaba, Lei risponde senza troppo tergiversare: Ma certo, perché no? Sono libera nel weekend, un salto lo faccio. Basta lavoro!:( e mi mette una delle emoticon un po’ dementi che tanto mi fanno ridere.
E poi Lei viene qui
E forse per una volta la stringo nella mia mano. Ci sarà tepore
La prima volta che sono caduto in mare, nel suo mare, ho sentito lieve freddo. E poi un barcaiolo, che portava la notizia:
Lei è inafferrabile. Un po’ come te.
Gocce di mercurio prive per natura di gravità alcuna.
E Lei, la mia metà acquosa, che viene in Amsterdam sotto non so quale psicofarmaco della tranquillità d’animo, e scende dall’aereo bella come non mai
Ancora tu.. ma non dovevamo vederci più? Ed ilare più di Battisti abbandono il mio corpo di poca carne e qualche ossa e divento spirito, pura radiosità. La trascino sopra le stelle sul tappeto persiano, a bere un the sopra le tegole del Grasshopper, tra la luce verde smeraldo ed il mormorio della Damrak. E lei è a suo agio – per la prima volta- con me, e non teme i silenzi. Li aspetta anzi, per chiedermi tante cose. Gli anni in Sicilia. Le pene del cuore. Le mie prospettive, e la passione per l’arte. Il mio amore per lei, che di tanto in tanto cambia i fiori ma sempre rigoglioso splende. E poi guardiamo i led verdeacqua riflessi nel fumo della sigaretta, mangiamo la torta di mele, e finiamo nella mia piccola casa sull’acqua.
E li.. lei cercherà fuori, oltre il vetro per trovare le parole. Come se fossero nascoste dietro le tende, al di là del delta... Le parole che non trova ma che dentro di sé già possiede.
Ed io la stringerò un attimo. Guarderò in basso e farò il mio solito sorriso sghembo, quello viola ed allungato che piace a mio cugino Filippo. Dopotutto, le parole non sempre servono.
Sogneremo di rubare le barche nel molo.
Magari per navigare fino a quella Londra che tanto le piace
Disegnerò un po’ di stelle su soffitto per rendere la mia stanza più accogliente
Aspetteremo che i muri vengano giù per sentire meglio i gabbiani cantare. Saluteremo il silenzio con buon augurio e la distanza ci sarà nemica.
L’odore del vento che dall’oceano trasporta le conchiglie fin qui ci chiuderà gli occhi, sul pianoforte di Mellon Collie…
Lei mi stringerà forte, proprio come Lei,
come se fosse l’Unica,
come una regina, come mia madre.
Come Maria Cristina Ricci abbraccia Vincent Gallo in quel buffo film.
My Dear Wonder Urban Girl… ancora tu? E ci scappa da ridere.
Una fiaba è una fiaba, e di solito ha un finale. La mia invece ha solo una fine, perché improvvisamente la fiammella onirica diventa luminosa ed implode, finchè mi restano tra i polpastrelli solo dei coriandoli di cenere neri più del carbone e bianchi come il latte.
Non credo Lei mi verrà a trovare.
So, la visione termina qui, sull’ ultimo accordo minore della canzone di Parachutes. Diventa inchiostro, e fluisce nel boccettino di china che domani andrò ad esplorare
Il soggetto?
Io e te, stretti come Vincent Gallo e Maria Cristina Ricci.
So noir, so sweet
Tanto lo so che non vieni.. si si
We never change, do we?
1 commento:
Mi piace anche questo racconto:la tua teoria sull egocentrismo qui è ben evidenziata... Caro shiva hai ragione...ogni uomo è vanità! ogni uomo è un bambino in cerca attenzioni.... siamo uomini eternamente bambini...un altro lettore alla mia affermazione direbbe che siamo italiani... italiani mammoni...si vede che non conosce Pirandello e il mondo del dolce incastro...... saluti da un tuo nuovo ammiratore...szawant@libero.it
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